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Negozi di quartiere, la crisi continua: uno su quattro in perdita.

Ecco i 7 segreti di chi è riuscito a farcela da cui la FARMACIA può prendere spunto

14 negozi al giorno chiudono per sempre

Tutto bene, dunque? Purtroppo no. 

Nonostante gli sforzi, sono molti i negozi che abbassano la serranda per sempre. 

Di fatto, secondo le stime di Confesercenti, nel corso del 2019 hanno chiuso l’attività oltre 5.000 attività commerciali. In pratica 14 al giorno. Un fenomeno che tocca in modo particolare i centri storici, dove – secondo Confcommercio – dal 2008 a oggi sono scomparsi il 12% degli esercizi commerciali.

La crisi dei negozi morde ancora. 

Mentre, in generale, le piccole imprese sembrano riprendere fiato, circa un esercizio commerciale di vicinato su quattro prevede di chiudere l’anno con un bilancio negativo e due attività su dieci valutano anche la riduzione della forza lavoro.

È quanto emerge da un sondaggio condotto su un campione di piccole imprese da SWG per Confesercenti, che sottolinea il peggioramento della situazione del commercio, in controtendenza con l’andamento medio degli altri settori: “Solo il 18% degli imprenditori del commercio ritiene di chiudere l’anno con un bilancio positivo”. 

A pesare una crescente sfiducia: un commerciante su due (48%) ritiene di avere, rispetto allo scorso anno, meno certezze.

A spaventare il commercio indipendente è in primo luogo il rallentamento percepito della domanda dei consumatori, segnalata da un’impresa su tre (32%) come principale fattore di preoccupazione: la frenata della spesa fa addirittura più paura del fisco, indicato `soltanto´ dal 28% delle imprese.

I negozi di quartiere e la crisi economica: ecco i segreti di chi è riuscito a farcela

1)

La (dura) lotta dei negozi tradizionali

Sono sopravvissuti alla crisi economica, allo sviluppo degli outlet e all’ecommerce. E, nonostante le difficoltà, continuano a “tenere duro”. Parliamo dei negozi tradizionali: un format che, negli ultimi anni, ha affrontato un contesto competitivo sempre più agguerrito.

2)

La morsa della crisi e i nuovi competitor

Di fatto il dettaglio tradizionale ha dovuto fare i conti con due fenomeni: da una parte il boom di nuovi canali off line (come, nell’ambito alimentare, i discount o, nell’abbigliamento, gli outlet) e dall’altra parte lo sviluppo delle vendite on line. Il tutto si è intrecciato con gli effetti della crisi economica, esplosa nel 2008. Una crisi che ha condizionato i consumatori sia sul piano pratico (si è ridotto il potere di spesa) sia sul piano emotivo (si è consolidato un atteggiamento complessivamente più parsimonioso, meno orientato al consumo fine a se stesso).

3)

Parola d’ordine: specializzazione

Come i negozi sono riusciti a sopravvivere a questa situazione? Le strategie messe in atto sono eterogenee. Molti hanno puntato sulla specializzazione, proponendo un’offerta selezionata, mirata. È’ un approccio diffuso soprattutto nel food, dove il nemico da battere è la grande distribuzione. Ecco, allora, gli store che vendono principalmente latticini e salumi freschi, di provenienza certificata, i negozi che si concentrano sugli alimenti legati al territorio o, ancora, quelli che privilegiano il “free from” e offrono solo prodotti senza glutine.

4)

Se la profumeria diventa di nicchia

Anche le profumerie hanno giocato la carta della specializzazione. Si spiega così il successo dei punti vendita incentrati sui così detti profumi di nicchia. Si tratta di prodotti dal prezzo medio-alto/alto, caratterizzati dall’estrema ricercatezza del packaging e della fragranza. E, soprattutto, si tratta di prodotti che difficilmente il cliente può trovare nelle grandi catene (come Sephora e Douglas) e, tanto meno, negli store monomarca.

5)

Nell’abbigliamento occorre fare ricerca

Nell’abbigliamento la parola chiave è ricerca. Per arginare la concorrenza (rappresentata tanto dalle catene fast fashion quanto dai punti vendita monomarca), il negozio indipendente deve scovare marche e prodotti inediti. Si può trattare del piccolo brand di origine nordica, delle scarpe fatte a mano o dei bijoux realizzati con oggetti di riciclo. L’obiettivo è differenziarsi dai competitor e sorprendere il consumatore.

6)

Il valore dell’esperienza

Non basta offrire un prodotto. Occorre proporre un’esperienza, vale a dire dare ai clienti la possibilità di sperimentare, imparare, divertirsi. Questa strategia è seguita da varie tipologie di negozi indipendenti. Si va dalle librerie, che spesso hanno integrato uno spazio bar/ristorante, ai negozi di giocattoli, che ospitano workshop per grandi e piccini, sino ad arrivare alle mercerie che organizzano i più svariati corsi incentrati sul “fai da te”.

7)

Il fattore umano è vincente

A fare la differenza spesso è il fattore umano. Il venditore (che in molti casi coincide con il proprietario) svolge un ruolo di consulenza e supporta il cliente nel processo di scelta. Non solo: racconta la storia dei prodotti, ne favorisce la prova, ne suggerisce le modalità di utilizzo. Un comportamento oggi sempre più raro, che il consumatore dimostra di apprezzare.

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L’Italia vive da 10 anni una grande contraddizione:

  1. I depositi a vista degli italiani in questo momento superano i 1.400 miliardi e ammontano a circa l’80% del Pil.
  2. Chiudono per crisi in tutta Italia negozi e botteghe storiche

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(Fonte Corriere della Sera)
https://www.corriere.it/economia/consumi/19_agosto_06/negozi-quartiere-crisi-continua-su-quattro-perdita-0368f120-b834-11e9-b2de-ac53be46e6c6.shtml
https://www.corriere.it/economia/consumi/cards/i-negozi-quartiere-crisi-economica-ecco-segreti-chi-riuscito-farcela/parola-d-ordine-specializzazione.shtml