Un giro a Cosmofarma

 

 

Così come penso abbia fatto la maggior parte di voi, anche quest’anno mi sono fatto il mio bel giretto alla nostra fiera di settore.

Vorrei portare alcune considerazioni sulla manifestazione, per quanto riguarda le esposizioni, in particolare sulla nuova moda che sembra coinvolgere le farmacie.

Già, le mode, le tendenze frenetiche che spesso ci trascinano in quelle scelte e investimenti dei quali talvolta ci pentiamo.

Siamo passati dagli anni in cui non eri serio se non ti dotavi di un robot che ti consegnasse le scatolette al banco. Poi gli anni dei distributori automatici, che promettevano guadagni infiniti senza fatica. Poi c’è stato il periodo delle vetrine e della comunicazione elettronica in generale.

Ancora, non dimentichiamo quando c’è stata la moda delle cabine estetiche, assolutamente da inserire nella tua azienda per farla apparire moderna approfittando della grande opportunità legata alla farmacia dei servizi.

E nel 2019 quale è stata la tendenza che sembra accomunare l’interesse di tutte le farmacie d’Italia? Il marchio personalizzato!

Così a Cosmofarma c’era davvero da sbizzarrirsi, e ne ho viste di ogni genere.

– C’erano laboratori di produzione, più o meno evoluti sia nelle formulazioni sia nei supporti alla vendita, con la loro proposta che prometteva qualità, personalizzazione e rispetto delle precedenze territoriali. Ovvero, se tu diventi cliente, nell’area più o meno concordata non sarà fornita nessun’altra farmacia. Avrei qualcosa da ridire sui diversi livelli di personalizzazione ma non mi voglio dilungare perché dovrei raccontarti di concetti di focalizzazione d’impresa. Magari avremo modo di riparlarne in altra occasione.

– Proseguendo tra i vari stand, c’era la ditta che invece non produceva ma a sua volta si appoggiava a un laboratorio per poi commercializzare prodotti con sopra l’etichetta della tua farmacia. E anche qui la promessa di estrema qualità, di rispetto dell’area di pertinenza e etichetta più o meno bella, più o meno realmente personalizzata.

Andiamo avanti e incontriamo la ditta con il suo brand, già famosissimo, che si vuole inserire in questo mercato affermando che ti apporrà il nome della tua farmacia stampato sulla confezione. Quindi stiamo parlando della stessa scatola che viene regolarmente venduta anche nella grande distribuzione, dove però in quelle confezioni che vendi tu c’è riportato il tuo nome.

Sinceramente le domande che mi pongo sono tante. Innanzitutto vorrei ribadire la grande differenza tra logo e marchio, per chiarire che il logo ti identifica ma il marchio ti rappresenta. In questo caso la bollinatura di un prodotto ha allora il significato di garanzia, di certificazione che tu dai a un determinato marchio, che però non è il tuo. Tu stai mettendo semplicemente un “fidati perché da me consigliato”, su una referenza che poi il cliente potrà ritrovare al discount o in internet.

Ora, niente di male se davvero ci credi e se sei cosciente di ciò che stai facendo, ma non pensare di avere così il tuo personalizzato e soprattutto non lamentarti se poi le politiche aziendali di quella ditta non coincidono con le tue.Prova ad andare dalla Coop e proporre di brandizzare col loro marchio i prodotti ad esempio della Barilla, poi mi dici cosa ti rispondono.

– C’erano poi le aziende che costruiscono un personalizzato già più strutturato ma che in realtà tale non è, in quanto è il loro marchio ad essere già noto alla massa dei consumatori. Quindi, come sopra, diciamo che utilizzano il tuo nome per dare valore di affidabilità a un loro prodotto. Andare a vendere tali referenze affermando che te le fai fare appositamente da un laboratorio, credo che potrebbe essere controproducente per la tua credibilità.

– Infine la perla l’ho “involontariamente” ascoltata in uno stand di una ditta ove il rappresentante raccontava le prerogative dei propri prodotti, come ad esempio che fossero rispettosi dell’ambiente, con tutti componenti naturali, eccetera eccetera. Insomma un fornitore come tanti altri e quindi ti chiederai cosa c’entri questo col personalizzato? E la perla sta proprio qui, nella proposta, perché era che se la farmacia avesse acquistato un certo quantitativo di referenze, la ditta avrebbe stampato delle etichette col logo della farmacia che la stessa avrebbe potuto apporre sulla confezione.

Già forse hai proprio ragione a chiedere cosa c’entra tutto questo con l’idea di avere in farmacia una propria offerta a marchio personalizzato. Io sono rimasto senza parole perché il collega che stava ascoltando il racconto del rappresentante ha pure affermato “questa si che potrebbe essere una buona idea”.

Alla fine del mio tour sono convinto che anche questa moda, attualmente vissuta come indispensabile, per molti sia destinata a vita breve, proprio come quella dei distributori, delle vetrine led, o della cabina estetica.

Con ciò non intendo dire che nessuno perseguirà più l’idea di offrire un proprio brand, ma molti finiranno per rimanere scottati e delusi da tale impresa.

C’è anche il pericolo che questa frenetica rincorsa di massa alla tendenza del momento finisca per determinare una caduta generale dell’immagine delle farmacie che propongono un brand personalizzato.

Dieci anni fa erano poche le farmacie che offrivano prodotti col proprio nome, perché era più difficoltoso rispetto a mettere in vetrina un brand noto. Oggi quasi tutti hanno il loro prodottino e, se questa potrebbe essere idealmente una gran cosa, di fatto è l’approccio e la gestione che sono spesso sbagliati.

Come al solito, la colpe non andrei a ricercarle tra i fornitori che, a mio avviso, cavalcano giustamente l’onda del momento. Ritengo che sia più che altro una carenza di strategie e di visione che spesso accompagna le nostre scelte, per cui preferiamo magari fare quello che sembrano fare tutti piuttosto che ricercare una nostra precisa strada da percorrere.

Con ciò, resto un fautore del personalizzato per la farmacia, purché concepito nella maniera corretta, purché rispecchiante il pensiero di impostazione differenziale scelto dal titolare.

Certamente non va fatta confusione, il proprio brand da solo non è elemento di specializzazione.

di Paolo Piovesan
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