Una storia personale

Oggi vi racconto una storia, un’esperienza che ho vissuto personalmente, che ritengo essere stata per me una fortuna perché nonostante io giri molte farmacie e alcune industrie, non si finisce mai di imparare e soprattutto di capire come ci rapportiamo con i competitori.

Ve la racconto perché mi sono reso conto di come sia effettivamente difficile accettare il cambiamento, sia pur necessario, soprattutto da chi non ne avverte una esigenza interiore ma se lo sente comunque dire proprio da persone come me.

A volte i casi pratici e reali rendono l’idea meglio di tante teorie.

E’ da circa un anno e mezzo che mi sono accorto come, nella mia farmacia, ci fosse bisogno di un’impostazione diversa nel settore di dermocosmesi. Da oltre trent’anni lavoriamo bene con i nostri prodotti a marchio, le mie collaboratrici sono sempre state riconosciute come professioniste attente, competenti, molto gentili e sempre sorridenti. Per scelta ho (anzi avevo, come vedremo) esclusivamente personale laureato, molto partecipativo e collaborativo. Sviluppo circa il venti per cento dell’intero fatturato (comprendendo però anche altri settori, quindi non esclusivamente la dermocosmesi) con i prodotti a marchio della mia farmacia.

Insomma, direte, non c’è proprio da lamentarsi. Eppure sentivo che mancava qualcosa, probabilmente mancava anche a me ciò che a voi continuo a ripetere: una elevata specializzazione di settore non legata ai consueti schemi della farmacia.

Così mi sono messo alla ricerca di una figura che mi soddisfacesse, che non fosse farmacista perché non volevo fosse interpretata dal cliente semplicemente come un’ulteriore brava professionista laureata. Doveva essere una persona competente, con l’entusiasmo, lo stile di disponibilità e cortesia che caratterizza la mia farmacia, che però non fosse contaminata dal lavoro nel nostro settore. Allora ho iniziato a girare profumerie e altri negozi, ho spiato i comportamenti sul lavoro di tante persone, con qualcuna mi sono anche soffermato a chiacchierare per cercare di capire cosa apprezzassero del loro lavoro e cosa invece non gradivano.

Insomma, per farla breve, dopo oltre un anno di ricerche (perché non cercavo solo una commessa esperta, ma la volevo anche motivata) mi imbatto in Elisabetta: il famoso colpo di fulmine, in senso professionale. Era responsabile di negozio di una famosissima catena multinazionale di profumerie in pieno centro città, ama il suo lavoro ma non sopportava l’impostazione frenetica tipica di questi negozi: “mi piacerebbe coccolare di più il cliente, seguirlo con maggior cura e provare ad interagire con lui per capire esattamente come poterlo accontentare. Qui i ritmi che ci sono imposti non me lo consentono, devi essere veloce per seguire tutti. Se nota – continuava a dirmi – addirittura nei nostri negozi non esistono banchi, ed è studiato perché le persone non devono sostare troppo, gli va spiegato il prodotto e poi via alla cassa che nel frattempo è entrata un’altra persona da servire”.

Questo mi raccontava e allora io ho provato a dirle : ”ma se questa vostra fretta fosse proprio ciò che voglio contrastare con la mia attività, saresti disposta a mollare tutto e a venire a lavorare da me? Io ti offro la gestione di un intero reparto (senza penalizzare l’operato delle attuali mie collaboratrici), mi dici tu dove ritieni che siamo scarsi e credi si possa migliorare e su quali punti siamo invece forti ma cosa dobbiamo fare per continuare ad esserlo. Io ti affianco e ti spiego il mondo farmacia ma tu devi essere propositiva e devi spiegarmi cosa succede fuori dal mondo farmacia, ci confrontiamo e ci diamo un anno di tempo con l’obiettivo di raddoppiare il volume d’affari del settore.”

Era ormai la quarta volta che andavo, più o meno in incognito, in quel negozio per osservare e spiare, ma dopo questa chiacchierata la sua risposta è stata “tra quindici giorni iniziamo”.

A questo punto sono iniziati i lavori di reciproco adattamento e ambientamento. Da una parte lei, un vulcano di entusiasmo ed esperienza, dall’altra noi abituati da anni col nostro lavoro “da farmacisti”. E si che, se mi avete conosciuto e magari avete addirittura letto il mio libro “Il pentagramma del farmacista”, non sono certamente uno che aspetta, uno che non si muove dal punto di vista commerciale. Però ciò che è cambiato in questa mia esperienza sono stati i ritmi dell’agire, e allora ho pensato molto anche a voi cari lettori, perché se io ho sentito il contraccolpo nel rivedere molte abitudini, mi sono messo nei panni di tutti quelli che tutto sommato sono restii a modificare il proprio atteggiamento nel lavoro. Non è facile accettare il cambiamento nonostante ci si renda conto che sia necessario, perché ti destabilizza e richiede un importante atto di umiltà. Quando arriva qualcuno che, anche se a ragione, mette a soqquadro quello che hai sempre fatto è dura ammettere che tutto sommato ti eri adagiato su illusori successi, è dura rimettersi in discussione.

In poco tempo abbiamo iniziato col rivedere tutti i criteri espositivi, …le strategia di cross selling, …poi abbiamo fatto pulizia di tantissimi messaggi scritti, …l’esposizione sul banco che ruota ogni settimana, …l’individuazione di nuovi punti caldi del reparto, …tolti i tappeti, …cambiate le modalità di allestimento vetrina e la loro rotazione, …inserimento di alcune nuove referenze, …eventi di make-up e corsi di skincare, …l’organizzazione di una serata dal titolo “cibo e pelle” presso un negozio di articoli per la cucina nelle vicinanze della farmacia; …

Insomma, un vero terremoto.

Ma io ho lasciato fare, ho semplicemente accompagnato e guidato il cambiamento specialmente nei rapporti con tutti gli altri collaboratori (indiscutibilmente spaesati anche se consapevoli che c’era necessità di vento nuovo e fresco). Abbiamo già fatto un paio di riunioni di squadra per motivare le ragioni di tanto trambusto e spiegare dove ci aspettiamo di arrivare grazie al contributo di tutti. Abbiamo condiviso tutto: aspettative, responsabilità, problematiche, criticità, dubbi e in questi incontri ho lasciato parlare molto Elisabetta perché spiegasse il suo punto di vista e lo mettesse a confronto col nostro.

Accettare che ci possa essere uno stravolgimento nelle nostre abitudini è difficile, ma occorre ponderare bene le persone e le azioni, e poi occorre dare anche fiducia (delega). Se conferisci a qualcuno un ruolo e gli chiedi delle responsabilità, devi anche lasciargli gli spazi per potersi esprimere, altrimenti alla fine se le cose non andranno al meglio prenderai il pretesto di giudicare il tuo collaboratore quando invece stai ancora una volta trovando una scusa per non giudicare te stesso.

Devo dire che a distanza di pochi mesi, sono già soddisfatto; noto un cambiamento negli approcci delle clienti, ho scoperto (ma in realtà non avevo alcun dubbio) di possedere una squadra di collaboratrici fantastica che non solo ha accettato e aiutato la nuova arrivata, ma ha anche capito che da lei c’era molto da imparare perché ci portava una prospettiva diversa del lavoro.

Finalmente sto davvero cambiando l’impostazione della mia farmacia nei confronti del nuovo mercato.

Elisabetta mi ha detto: “voi farmacie, viste dall’osservatore esterno, siete più o meno tutte omologate. Quando il cliente entra, stenta a riconoscere una precisa identità, siete molto preparati dal punto di vista tecnico ma poco dal punto di vista dell’emozione nell’atto d’acquisto. Avete prodotti di altissima qualità, ma spesso non li valorizzate. Noi adesso dobbiamo sfruttare i punti di forza dell’immagine farmacia (credibilità) che altri non hanno e che vorrebbero, ma nel contempo inserire quelle dinamiche di piacere e gratificazione nell’acquisto; e allora si può anche osare”.

Niente di più vero dal mio punto di vista, è proprio per questo motivo ho cercato una figura che fosse finalmente diversa. Penso che addirittura me la porterò dietro in qualche futuro corso che terrò per le farmacie, come testimonianza di una visione esterna al nostro mondo.

L’esperienza mi ha ulteriormente aperto gli occhi ed è servita per capire che il metodo può essere replicato anche in altri settori e reparti, finora troppo gestiti in termini di proposta commerciale (ampiezza e numero di referenze) e poco in termini di servizi, attenzioni e soddisfazione delle reali aspettative del cliente.

Se vado da Decathlon scopro che il negozio è molto cambiato rispetto ad alcuni anni fa. Da drugstore dell’abbigliamento sportivo, oggi trovo corsie dedicate a specifiche attività, c’è specializzazione nell’assortimento con prodotti brand e prodotti a loro marchio, c’è maggior competenza e cortesia da parte dei commessi, ci sono servizi accessori come ad esempio la riparazione delle biciclette…e purtroppo c’è anche il settore degli energetici e degli integratori, cosa che mi disturba molto perché penso mi sottragga vendite. Ma lo fanno in tutta consequenzialità di un’offerta completa per lo sportivo.

Direte: “si vabbè, ma è Decathlon”. E allora vi suggerisco di andare in qualche nuovo negozio privato di prodotti per sportivi. Qui vi accorgerete di un’ulteriore evoluzione: non più l’offerta su tutti gli sport, ma la specializzazione estrema su determinate attività. Ci sarà quello che magari avrà qualche paio di sci o qualche racchetta da tennis ma che in realtà ha tutto per il running: dalle scarpette alle magliette tecniche, dai calzini ai guanti, dalle fascette anti-sudore al para-orecchie, dal cardiofrequenzimetro al contapassi, e poi servizi come ad esempio la pedana dove poter accennare a una corsa e dei sensori che ti dicono come posi il piede per poi consigliarti calzature ed eventuali plantari, convenzioni con medici dello sport o preparatori atletici, iscrizioni ad associazioni per la partecipazione a gare,…e poi ridai con questi benedetti integratori.

Allora mi chiedo, ma siamo proprio sicuri che per sviluppare il mio reparto dedicato agli sportivi sia sufficiente possedere qualche integratore e qualche vitamina anche se di qualità eccelsa? Oppure la qualità è un aspetto che si dà comunque per scontato in una farmacia, ma io la devo completare con preparazione, competenza, servizi veri, tecniche, eventi, incontri e magari anche con qualche accessorio. Posso inoltre trovare qualche sinergia tra l’interesse per lo sport e qualche altro settore?

Ci sto lavorando, sto coinvolgendo le mie collaboratrici proprio perché forte dell’esperienza con Elisabetta; voglio che loro mi aiutino comprendendo che il nostro ruolo in farmacia è cambiato, che tutti noi dobbiamo essere più attenti; voglio che loro si ricavino aree di competenza in grado di conferire soddisfazione alla loro quotidiana presenza lavorativa, perché il farmacista stacca fustelli è deprimente; voglio che la mia squadra sia entusiasta per ciò che riesce a dare e conseguentemente per quanto riuscirà a ricevere; voglio che ci sia competizione con altri negozi ma non voglio scendere sui banali binari della solita concorrenza basati su merce e sconti; voglio che le persone si dichiarino soddisfatte e completate nelle loro aspettative quando divengono nostre clienti, e tutto ciò per cui non sono un punto di riferimento dovrà essere solo complemento della mia offerta (così come lo sono gli integratori nei negozi per sportivi).

Voglio tutto questo 1) per dare un’identità riconosciuta e apprezzata alla mia farmacia dove il business è solo diretta conseguenza della qualità del servizio, 2) perché sono certo che in tal modo anche i miei collaboratori si sentiranno maggiormente realizzati e gratificati, 3) perché anche il cliente troverà difficoltà nel metterci a confronto con qualsiasi altra forma di concorrenza generalizzata.

Voglio tutto questo perché se riuscirò a impostare efficacemente questo motore di propulsione, allora arriverò probabilmente anche a cambiare la carrozzeria della mia farmacia, che dovrà semplicemente servire per facilitare ulteriormente il lavoro e le prospettive che però ho già definito.

di Paolo Piovesan
© Riproduzione riservata

 

 

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