associazioni-farmacie

Lavorare in gruppo per una reale

crescita del singolo

 

Capita che mi chiedano cosa penso dell’associazionismo tra farmacisti.
Allora rispondo che spesso indago con i responsabili di questi gruppi sul perché una farmacia dovrebbe entrare a far parte della loro iniziativa. Chiedo che cosa fanno tutti assieme di veramente particolare, di diverso e di utile che una singola farmacia non potrebbe ottenere autonomamente.

Di solito le risposte che mi forniscono riguardano la gestione del prodotto.

Mi raccontano che in gruppo migliorano le condizioni d’acquisto, che si realizzano volantini pubblicitari col taglio prezzo, oppure che acquistando assieme si ottimizzano le giacenze dei magazzini.
Stop, queste sono le principali ragioni, che il più delle volte mi vengono evidenziate, per dare ragione dell’esistenza di un associazionismo tra colleghi.

Allora provo a indagare meglio, iniziando però a esporre anche le mie perplessità.

Quali sono queste migliorative condizioni d’acquisto dei prodotti?
Migliorative rispetto a chi: all’acquisto diretto o da grossista, e su quante marche o referenze?
Sono rapporti privilegiati con aziende leader?

Faccio queste domande perché dentro di me ho qualche dubbio che piccole entità possano ottenere vera convenienza nell’economia globale per la singola farmacia, sono invece convinto che le aziende siano in grado di agire con strumenti ben più invoglianti se fossero davvero interessate a una particolare penetrazione di mercato in una determinata zona. Anzi, al contrario, ho riscontrato che spesso proprio proponendo particolari condizioni commerciali a qualche associato del consorzio, i fornitori più agguerriti riescono anche a far crollare i buoni propositi basati sui criteri di fedeltà assoluta.

Poi vado oltre e cerco di capire meglio, giacché qualsiasi prezzo di favore è sempre necessariamente legato a un rilevante incremento negli acquisti da parte dell’insieme delle farmacie. E allora, se questa è la condizione, significa che alla lunga o la merce rimane nei magazzini delle farmacie, oppure il titolare si deve concentrare nella vendita di quei pochi prodotti, attuando delle precise scelte, a discapito di altri fornitori.

Stabilire delle scelte sulla propria proposta merceologica è però un ragionamento di marketing individuale e non più solamente una questione di opportunità d’acquisto generalizzata, ma l’impegno del gruppo spesso si concentra sulle sterili trattative commerciali e non sulle strategie di marketing.

Quindi, se il consorzio lavora esclusivamente sotto il profilo economico con tre, quattro o massimo cinque ditte partner, il risultato è che forse le farmacie riusciranno a incrementare con queste il volume d’affari quasi certamente a discapito di altre, con conseguente riduzione del potere contrattuale…magari si riuscisse a vendere tutto di più!

Allora traggo le mie conclusioni che mi portano a pensare: se all’origine non esiste una reale e precisa scelta strategica condivisa, ma ognuno continua a vendere quel che ritiene più opportuno per la propria realtà, allora credo che per un’offerta generalizzata degli acquisti sia preferibile rivolgersi a un fornitore intermedio (grossista o cooperativa). Il gruppo potrebbe casomai stringere precisi accordi di vantaggio sulle forniture proprio con il fornitore intermedio, probabilmente più bravo, strutturato e con più potere contrattuale per occuparsi degli acquisti. Dalla cooperativa o grossista si possono allora richiedere, a fronte di un fatturato, anche servizi che i singoli farmacisti non potranno mai mettere in atto da soli. Si potrà magari richiedere formazione specifica, oppure strumenti per migliorare l’offerta al pubblico.

Allora il gruppo a cosa serve nei confronti dell’industria se finora mi era stato detto che mi avrebbe aiutato a comprare meglio direttamente?

Credo che un’unione tra colleghi sarebbe davvero proficua nel momento in cui l’associazionismo apportasse un vero contributo agli sforzi per il sell-out nelle singole farmacie, ovvero servisse per trovare miglioramenti nell’insieme di proposte dedicate al pubblico.

Per esempio, un intento comune a mio avviso dovrebbe servire per:

  • produrre richiamo nei confronti di altri competitori sempre più agguerriti
  • garantire prestazioni che i singoli non riuscirebbero a realizzare da soli
  • ottenere economie di scala su azioni pubblicitarie (che non sono i soliti volantini col taglio prezzi che ormai più nessuno legge e che spesso non sono nemmeno espressione di convenienza rispetto ad altri canali di vendita)
  • aiutare i farmacisti nella vera formazione e nel flusso di informazioni utili all’impresa
  • supportare le farmacie nell’erogazione di servizi realmente utili all’immagine della farmacia
  • organizzare eventi e stabilire convenzioni.

Di lavoro da fare ce ne sarebbe davvero tanto e magari i singoli associati apprezzerebbero maggiormente un contributo alle vendite piuttosto che agli acquisti, si appassionerebbero alle idee, parteciperebbero di più agli incontri.

Gli accordi con qualche azienda produttrice potrebbero allora sfociare in fornitura di materiali esclusivi, in campagne con comuni strategie di sell-out, in incentivazione dei collaboratori, in nuove idee per produrre immagine distintiva.

Non possiamo continuare a pensare, ancora nei giorni nostri, che un gruppo si debba ridurre a esistere semplicemente per spuntare qualche centesimo di sconto in più su qualche prodotto.

Il solito esempio che vi accompagna nei miei articoli.

L’ultima volta che ho incontrato i responsabili di un consorzio, mi hanno mostrato con orgoglio un loro volantino fronte-retro di formato A5, con una decina di prodotti a prezzo tagliato.

Lo guardo e poi chiedo: “A cosa serve questo?”

Dopo un attimo di smarrimento dovuto al fatto che il mio interlocutore si domandava se io davvero non sapessi cosa era un volantino pubblicitario, la risposta è stata: “abbiamo tagliato i prezzi di alcuni prodotti più noti per far vedere ai clienti come le nostre farmacie associate siano più vantaggiose rispetto alle altre”.

Temevo questa risposta. Allora provo a chiedergli innanzitutto se davvero pensava che i veri concorrenti fossero tutte le altre farmacie non associate al loro consorzio (magari quelle stesse che, dopo averle fatte arrabbiare, sarebbero state invitate ad aderire).

Mi risponde: “beh, non solo le farmacie, anche gli altri canali di vendita con prodotti in concorrenza a quelli che trattiamo noi”.

Allora prendo ad esempio un noto dentifricio che ha un prezzo al pubblico consigliato dall’industria (concetto molto pericoloso che a noi però piace tanto perché ci permette di ragionare in termini di sconto al momento della trattativa d’acquisto) di euro 4,25. Nel volantino del consorzio è proposto con il 15% di sconto, per un prezzo finale pari a euro 3,61.

E già qui scatta la mia prima domanda riferita alla concorrenza tra farmacie: “per 64 centesimi di sconto su un dentifricio, quante persone cambiano farmacia spostandosi magari da quella più comoda sotto casa?”.

Poi, non contento, estraggo il depliant di una nota catena multinazionale di ipermercati, presente in città con due sedi, con più di cento prodotti in offerta in quel momento e dove quello stesso dentifricio viene proposto a 2 euro.

…Se vogliamo proprio metterci a competere sui prezzi, forse serve altro.

In conclusione, viva l’associazionismo tra colleghi, ne sono convinto fautore, però solo se il gruppo serve realmente alla vera crescita del singolo secondo le moderne esigenze della farmacia.

di Paolo Piovesan
© Riproduzione riservata

 

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