Costretti a saper vendere (1/3)

 

Se alcuni sociologi definiscono il negozio come la terra dei non bisogni,

per molte farmacie in realtà l’attività rimane ancora la terra per le pure necessità.

La porzione di sostentamento economico derivante dal rapporto in convenzione con lo stato, però, oggi non consente più la sopravvivenza dell’impresa e pertanto diviene necessario per tutti imparare a vendere.

L’arte della vendita serve allora sia perché la farmacia è comunque inquadrata fiscalmente come un’attività commerciale, sia per il sostentamento del titolare e dei collaboratori, ma serve anche, infine, per far sì che il farmacista possa continuare a esprimere la propria professionalità in ambito etico.

Purtroppo questa è la triste e dura realtà.

Così accade che quando ci creiamo una forte convinzione su ciò che facciamo,

fondata sul ruolo derivante dal nostro passato e viviamo esclusivamente in funzione di questo,

è possibile che ci sfugga quello che invece rappresentiamo nella realtà di adesso agli occhi di un esterno.

Ciò deriva dal fatto che sono sì importanti la storia e il fare, ma spesso è ancor più decisiva la promessa.

Il come realizzi e comunichi il tuo impegno è altrettanto importante del cosa fai.

La visione della nostra posizione, di là dall’etichetta universalmente riconosciuta,

si compone di un’area interna alla nostra azienda (come sei tu e come sono i tuoi collaboratori) e una esterna,

cioè come siamo percepiti tramite i prodotti che vendiamo, le azioni di comunicazione che trasmettiamo, i rapporti che instauriamo.

Allora può magari accadere che quasi tutti siamo effettivamente bravi e competenti professionisti,

ma sottovalutiamo gli strumenti in grado di dare forza al nostro lavoro e alla nostra immagine.

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Ad esempio, ti sei mai chiesto che differenza passa tra il camice che indossi e i locali della tua farmacia?

E’ evidente che il primo identifichi un ruolo, in particolare quello sanitario, e che pertanto stimoli nel cliente un’aspettativa di tipo professionale.

I locali della farmacia creano invece un’aspettativa di negozio, non certamente di un ambulatorio medico.

Così in essi assumono rilevanza tutte le caratteristiche che sono piuttosto tipiche di un’attività commerciale e che pertanto devono concorrere per farti preferire rispetto ad altre proposte presenti sul mercato.

 

Se prima d’ora non avevi mai fatto questa riflessione, solo all’apparenza banale, prova ora a rivedere le tue posizioni e sono convinto che ne saprai trarre molte significative conclusioni.

Per il tuo negozio stiamo quindi parlando non solo dell’estetica o dell’armonizzazione nell’esposizione, ma anche degli orari di apertura, delle facilitazioni nel raggiungimento quali ad esempio i parcheggi, porte automatiche, scivoli per portatori di handicap o per i passeggini.

A proposito, hai notato come questi ultimi siano esplosi nelle dimensioni rispetto a quelli di qualche anno fa? Sembrano veri e propri SUV, addirittura dotati di freni a disco, ma allora anche le tue porte dovranno probabilmente essere studiate per poterli far transitare agevolmente.

 

Se ci concentriamo sull’aspetto che riguarda la tua farmacia sotto il profilo del negozio, allora dobbiamo imparare a porre attenzioneal come proponi le cose che realizzi.

In definitiva e a grandi linee, sono tre le domande che devi prendere in considerazione per la valutazione del tuo successo e che del resto sono gli stessi pensieri che si pone, magari inconsciamente, il tuo cliente:

  • Tornerei in questa farmacia?
  • Consiglierei questa farmacia a un mio amico?
  • Sono disposto a sopportare qualche sacrificio pur di venire proprio qui per tutto quello che sono in grado di offrirmi?

Sono le risposte a questi semplici quesiti che in realtà determinano la differenza nella preferenza di un negozio rispetto a un altro, perché è il rapporto che riesci a stabilire con ogni singolo cliente che ti qualifica.

 

Nell’attuale situazione sociale, in cui ormai si è portati quasi a stupirsi più per la cortesia altrui piuttosto che della maleducazione (prova a riflettere, è vero o no che ci rimani quasi male se una persona sconosciuta che incontri per strada improvvisamente ti saluta con un sorriso?), un ambiente e un rapporto interpersonale correttamente strutturato assumono una rilevanza determinante.

 

Allora, se la pensi come me, prova ad esempio a cambiare il tuo saluto dal generico “salve” al “buongiorno”, rivestendolo quindi di una connotazione positiva di augurio (buon) e ti accorgerai che, anche se il cliente poco primati aveva detto “salve”, quasi certamente si correggerà rispondendoti immediatamente con “buongiorno”.

Perché la positività aiuta la relazione e apre la strada all’empatia.

 

Però non basta certamente imparare il saluto per instaurare un rapporto positivo col cliente.

Esso è formato da un insieme infinito di altre attenzioni, dettagli e percorsi comunicativi che attraversano tutti i sensi, in particolare quello visivo.

Quest’ultimo è, per la maggioranza delle persone, il senso predominante al punto di arrivare a cannibalizzare tutti gli altri.

Così, quando sei al banco, se non riesci a stabilire un positivo contatto visivo ancor prima di pronunciare il tuo cordiale saluto, la tua relazione rischia comunque di fallire, anche se in realtà ti era sembrato di essere stato molto cordiale.

 

Infatti lo sguardo, quella decisiva frazione di secondo di contatto, può essere sia inclusivo sia esclusivo, nel senso che è capace di dimostrare il tuo reale interesse o il disinteresse per l’interlocutore a prescindere dalle parole che pronuncerai.

Allora, la prossima volta che accogli una nuova persona col buongiorno, non vederla esclusivamente con la tua visione periferica mentre continui a sbrigare le ricette del cliente precedente; devi mollare tutto e dedicarti a lui, guardandolo negli occhi.

All’atto di accoglienza ricorda sempre di seguire in successione questi importanti passi per un positivo contatto con il tuo cliente: sguardo -> sorriso -> saluto.

E’ solo a questo punto che avranno efficacia le tue domande e le tue consulenze.

 

Un altro consiglio, per migliorare la tua empatia: quando darai le tue competenti risposte, ricorda di adottare la cosiddetta emulazione a specchio, ovvero il medesimo atteggiamento e la stessa impostazione vocale usata dal tuo interlocutore.

Non serve a niente utilizzare frasi complicate e parole incomprensibili, devi essere tu ad adeguarti professionalmente alla stessa lunghezza d’onda di trasmissione del cliente.

Ripeti quindi alcune parole chiave pronunciate dal cliente (se richiede sicurezza…rispondi garantendogli sicurezza), oppure prova a ricalcare il suo tono di voce (esattamente come accade quando chiami qualcuno al telefono che ti risponde a bassa voce perché dice di essere in una riunione…e tu automaticamente abbassi anche il tuo tono di voce).

Il “come”, dunque, non solo il “cosa”.

La competenza è indubbiamente importante ma se non la sai comunicare rischi di essere inefficace. E’ questa la ragione per cui,prima di iniziare a parlare, è sempre indispensabile attivare un ascolto attivo, non solo dei contenuti (intervista) ma anche dei modi con cui il tuo cliente si esprime.

 

Solo dopo esserti orientato come un’antenna sulla medesima lunghezza d’onda del rapporto,può iniziare a tutti gli effetti la fase di trattativa e potrai così motivare le tue proposte con maggior efficacia nelle fasi di

  • cross selling (che significa attivare una vendita trasversale all’interno di una stessa categoria di prodotti).
  • cross category (ovvero una vendita trasversale tra due categorie merceologiche).
  • upselling (ovvero la capacità di spostare la scelta del cliente dalla richiesta su un prodotto di categoria o prezzo superiore, ovvero in grado di possedere un maggior grado di valore percepito).

 

di Paolo Piovesan
© Riproduzione riservata

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